Perdere il Controllo
Questo brano è il primo contributo proveniente da un membro della Community Punkt., un team di persone sveglie interessate all'idea di vivere un rapporto equilibrato con la tecnologia. In "Perdere il controllo", Josh Berson, autore ed antropologo, analizza come la tecnologia crei in noi una illusione di potere e controllo, rischiando in realtà di portarci via il senso della vita.
Poco tempo fa mi sono ritrovato con il fango fino alle caviglie nel tentativo di liberare un'auto bloccata. Ero andato a trovare un amico, chiamiamolo R, nel tipo di posto dove, vent'anni fa, non ci sarebbe stato molto da fare nei fine settimana. Oggi invece c'è un mercato del sabato dove si rifornisce un ristorante a chilometro zero da cinquanta coperti. Pioveva a dirotto. Una tranquilla gita mattutina aveva preso una svolta drammatica quando, tornando alla macchina, ci eravamo accorti che mentre eravamo al mercato lo spiazzo erboso dove avevamo parcheggiato si era trasformato in palude. Ne è seguita una scena degna di Hokusai o Bruegel, con una serie di passanti gentili che ci aiutavano a spingere il parafango anteriore mentre R accelerava in retromarcia, finendo tutti ricoperti di fango. Alla fine R aveva recuperato una striscia di feltro. L'abbiamo messa sotto la ruota anteriore che sembrava avere più trazione, e spingendo in tre siamo riusciti a liberarci dalla maledetta fanghiglia.
Momenti come questo sono diventati troppo rari. Non intendo il cameratismo di un gruppo di sconosciuti che si impegnano insieme per risolvere un problema, ma la perdita di trazione, la perdita di controllo, l'interruzione non voluta del regolare svolgimento del nostro sabato mattina perfetto per Instagram. Abbiamo perso il gusto per l'imprevisto, l'incontrollabile, l'ostacolo. Ci aspettiamo che il parcheggio sia asfaltato. Ormai viviamo nella cultura del controllo.
Chad Wellmon è professore di letteratura all'Università della Virginia. Quattro anni fa, scrive, pensavo di sapere cosa fosse un'università.
Quando Wellmon è diventato direttore di uno dei college residenziali dell'università, si è trovato a confrontarsi con quella che ha definito l'Altra Università.
L'Altra Università non ha una facoltà; ha uno staff con lauree e dottorati in servizi amministrativi per l'istruzione superiore. L'Altra Università non ha un curriculum ma una programmazione: salute e benessere, consapevolezza multiculturale, sensibilizzazione della comunità, arricchimento personale e consulenza alla carriera. All'interno dell'ethos manageriale dell'Altra Università questi non sono argomenti di discussione e scoperta, ma messaggi da interiorizzare e rispettare. Se la facoltà insegna, l'Altra Università forma gli studenti.
Ma l'ethos manageriale, la cultura del controllo, non si limita alla classe dirigente e ai suoi eredi, contagia tutti. Le sue cause sono molteplici e si sono sviluppate nel corso di varie generazioni. La tecnologia, intesa in senso lato o nel senso limitato della lastra di vetro e semiconduttori che teniamo sempre in tasca, non ha portato alla cultura del controllo, ma certamente l'ha facilitata. Ormai tutti abbiamo familiarità con il capitalismo della sorveglianza, con la graduale colonizzazione della nostra attenzione, per non dire dei nostri desideri. Loro sanno - io sto sveglio di notte a pensarci, sanno che nonostante i miei sforzi di dissimulazione, i miei viaggi in questa parte del mondo non sono solo per vedere un vecchio amico, sono lì per visitare vecchie fattorie, trovare caravan abbandonati, o un pezzo di terreno asciutto dove io e la mia compagna potremmo trovare rifugio da un'inflazione galoppante. Alla radice, l'economia dell'attenzione consiste nel trasformare ogni atto consapevole in un'opportunità per vendere qualcosa. Da qualche parte, un moltiplicatore di Lagrange è stato aggiornato per mostrarmi annunci di proprietà immobiliari. Ma la cultura del controllo, il tentativo di avere completa consapevolezza di quello che ci circonda, di anticipare ogni risultato avverso e gestirlo in anticipo è forse persino più insidiosa del capitalismo di sorveglianza - perché non la viviamo come elemento imposto dall'esterno ma come qualcosa che nasce dentro di noi.
Poi arrivano le perdite di controllo totali: inondazioni, incendi, pandemie (notare il plurale) - e ci troviamo poco preparati. (Vent'anni fa avrebbe nevicato, non piovuto, se avessimo fatto una gita al mercato). Proprio come i cellulari e l'apparato tecnico-amministrativo-etico che sostituiscono non hanno dato origine alla cultura del controllo, così non sarà un cellulare a liberarcene. Imparare a vivere nell'impermanenza non è una lotta da ingaggiare ogni tanto ma una pratica costante che dura tutta la vita, e che va intrapresa non soltanto da soli ma collettivamente. Non dobbiamo aspettare. Accettiamo le quotidiane perdite di trazione, così che quando il mondo si trasformerà in fango avremo almeno la pazienza di uscire e spingere.
A proposito dell'autore:
Josh Berson è antropologo e autore, tra gli altri libri, di The Human Scaffold: How Not to Design Your Way Out of a Climate Crisis (2021) e The Meat Question: Animals, Humans, and the Deep History of Food (2019). Con Carla Nappi dirige lo studio di ricerca Midden.
Altre letture
Wellmon, Chad. 2021. Degrees of Anxiety. The Point 25 (August 15).
https://thepointmag.com/examined-life/degrees-of-anxiety/